lunedì 21 febbraio 2011

Paul Nizon "I miei atelier. Saggio sul vedere. Walser e Van Gogh" Pagine d'Arte

Paul Nizon si interroga sulle ragioni e sul proprio modo di scrivere. Non si sa mai esattamente perché si è iniziato a scrivere e perché in quel modo.  Si possono fare delle ipotesi. Si può indagare sulle proprie letture, su ciò che ha mosso verso la scrittura. Attraverso le similitudini si può giungere alle differenze e riportare a casa la consapevolezza su di sé. Così l’immersione di Paul Nizon, nel libro “I miei atelier. Saggio sul vedere. Walser e Van Gogh”, edizioni Pagine d’arte, Lugano 2010, scandaglia vita e opere di Robert Walser e di Vincent Van Gogh poiché li ha sentiti simili, come coloro che avevano attraversato i suoi medesimi stati. Non a caso questo saggio inizia con la descrizione delle sue modalità di astrarsi dal mondo, di cogliere la realtà attraverso una passeggiata (ciò che è bastevole per cogliere le incessanti mutazioni delle apparenze e di conseguenza le metamorfiche evoluzioni della propria sensibilità). Nizon lavora in atelier, distinti dalla sua abitazione o che sono addirittura in altre città, per sentirsi estraneo, per ottenere quella condizione di emarginazione o emigrazione intellettuale che gli consenta di porsi con occhi stupefatti di fronte a una realtà costretta a essere diversa da tutto ciò che gli è familiare. E dove lo sguardo funge da sufficiente ricettacolo dell’esistente. E’ questa l’incubatrice che mantiene in vita la possibilità per lui di essere scrittore. Anche se non gli sfugge, sempre attraverso il mai interrotto dialogo con Walser e Van Gogh, che in quello che ottiene non c’è narrazione, non c’è evento e dunque evoluzione.  Mettendo a fuoco i suoi due interlocutori, i quali dimostrano di avere condiviso questa disposizione verso la realtà, Nizon è in qualche modo costretto a tirare in barca una rete che non può non avere fra le sue maglie la schizofrenia da cui i due artisti sono affetti. E’ interessantissimo seguire l’itinerario in cui arte e malattia mentale sembrano inestricabili. Ci si chiede se inevitabilmente l’eccesso della sensibilità, l’inadattabilità alle relazioni umane, il mantenere uno sguardo puro e infantile sul mondo non siano caratteristiche ineliminabili negli artisti. Ma la disamina condotta da Nizon lo porta ben presto a comprendere che l’auto-esclusione dall’esistenza e la chiusura nel proprio mondo interiore non sono, invece, né garanti di un percorso artistico né difendibili nel risultato artistico, il quale prescinde da essi.  Sarà proprio l’apertura all’esistenza, alle relazioni umane a consentire a Paul Nizon di sentirsi al salvo, comprendendo che per lui entrambe, arte e vita, sono irrinunciabili. Se li ha sentiti uguali è, dunque, anche riuscito a individuare in che cosa se ne distanzia, ma, intanto, nelle maglie della rete sono rimasti due splendidi ritratti di artisti a cui io caldamente vi rimando, poiché la partecipazione identitaria che muove, ad esempio, Nizon verso Van Gogh conferma che senza amore non si può scrivere un testo che restituisca quel che si può dire, appunto,  calandosi nell’altro con la necessità di comprendere  a fare da lume. E’ solo in questo modo che si riesce a far rivivere persone, esperienze e oggetti, a scovare le ragioni, gli scacchi, le perdite e i rinvenimenti che l’esistenza di un artista può emblematicamente rappresentare per noi tutti. Nizon, pur accennando con stringatezza agli elementi formali che di volta in volta Van Gogh mette a punto nelle fasi della sua vita,  e che nascono dall’incontro tra le sue esigenze interiori e gli ambienti sociali  e naturali o le forme culturali (impressionismo, disegni giapponesi) riesce a farci comprendere il senso che le forme assumono, il significato testimoniale di cui possono essere investite. La discesa nella psiche, condotta anche con una terminologia psicoanalitica, non è funzionale a se stessa, ma mezzo per captare nel mistero del processo artistico le dirette relazioni esistenti tra senso e segno senza cadere nel dogmatismo. Indaga cioè il rapporto tra la forma e la psiche che la crea. Magnifico è anche il testo su Walser. Nizon sa avere una misura sapiente, nel profondo rispetto per la creatura umana, nel calibrare ragione e sentimento quando si tratta di ciò che di più terribile esiste al mondo: il senso che diamo alla nostra esistenza.

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