martedì 8 febbraio 2011

Pia Gazzola

Osservare le opere di Pia Gazzola vuol dire effettuare un’escursione nella natura e nell’artificio, ove quest’ultimo sta per la rappresentazione del naturale, la quale, però, non smarrisce il suo referente, lo conserva per non perdere la possibilità del confronto, lo immette in un dialogo in cui la rappresentazione può istituirsi come altro. Altro, cioè, anche rispetto alla rappresentazione stessa. E questo passaggio terzo è evidente nei suoi numerosi e raffinatissimi libri d’artista, ad esempio nella serie “Libri al volo” in cui una piantina reale è affiancata a una foto della stessa e a un disegno, quasi uno stato medio e finale della rappresentazione.

Anche facendo  intervenire il caso nella restituzione della natura, come nelle opere “Segni-Disegni”, la Gazzola introduce ambiguità,  appunto, fra segno e disegno.  Dinanzi a queste opere, crediamo che il fruitore,  acuendo l’immaginazione, riesca ad ascoltare il fruscio del vento fra  le foglie, poiché è esso il motore dell’azione: consente, infatti, alle foglie imbevute d’inchiostro di tracciare segni sul foglio. Qui, l’autore, paludato in una campagna senza limiti visivi, si è di fatto assimilato al caso, intervenendo per predisporre l’evento, anche se a i fruitori non sfugge che se pure si ingaggia il caso come elemento progettuale, esso acquisisce senso solo all’interno di un progetto artistico e l’elaborato del movimento casuale delle fronde che sfiorano il foglio collocato su un tavolo  è per questo un disegno, una scrittura vegetale. Come, infatti, non riconoscere nei segni lasciati dallo scorrere delle foglie lanceolate un’immagine che rimembra filamenti vegetali, ranuncoli, erba,  rametti, in un rispecchiamento non coincidente con il referente. Un autoritratto consentito dall’artista e che si replica contemporaneamente nelle ombre che il sole proietta intercettando le scriventi fronde.

Che la distanza tra oggetto e la sua ombra sia incolmabile, come dirlo meglio che non mostrandolo nel lavoro fotografico “Appunti d’inverno” in cui su fogli di carta spiegazzati e successivamente  distesi e adagiati su un prato - quasi macchine che dispieghino la profondità nella superficie - sono posti steli di verzura, rametti, spighe e gemme in diretto confronto con l’ombra che il foglio come trappola cattura.

Lo studio condotto da Pia Gazzola non evita difficoltà e paradossi inerenti al rapporto con la natura: la natura vi appare più che intercettata, immediatamente messa a confronto con elementi che la negano o che la costringono a un dialogo irto di contraddizioni. Nelle 12 fotografie della serie “Duo”  su carta di cotone incollata su pannelli di legno e affisse al muro tramite un tondino di ferro che è riverberato come taglio nella foto stessa attraverso interruzione nelle fasce di diverso gradiente di colore, sono, infatti, ancora i tondini, presenti questa volta come oggetti fotografati all’interno del paesaggio, a  costruire una barriera nella percezione del paesaggio poiché in quanto manufatto industriale si oppongono al concetto di natura, anche se qualche modo lo compongono. La considerazione che se ne trae è che Pia Gazzola lavori proprio su queste soglie, sull’ambiguità che non è solo limite, ma anche strumento elaborativo, il quale si serve dell’immaginazione per ricostruire le lacune che si formano a causa della compresenza delle eterogenee materie.

Le installazioni denominate “Filigrane” testimoniano del lavoro condotto da Pia  sulle stratificazioni che si attuano attraverso la luce, poiché la luce contribuisce a modificare la materia, nel solo senso percettivo, cambiandone in apparenza  peso e consistenza. I cerchi interni - quasi un’ossatura, in metallo -  e quelli esterni, disegnati sulla carta, si riflettono in un’eco visiva e consentono la percezione della profondità spaziale. In ogni caso la scrittura è un elemento ineludibile nei lavori di Pia Gazzola, quasi che il logos consentisse di chiudere il cerchio rispetto a elementi disparati e irriducibili l’uno all’altro.

Le foto appartenenti alla serie “CAmPI LETTERE” testimoniano dell’ostinata propensione dell’artista a leggere dovunque, a riconoscere in qualsiasi cosa lettere dell’alfabeto in una sorta di tentata leggibilità del mondo che è distante dal significato attribuito da Galileo (la lettura del libro della natura) e proprio nel momento in cui tali lettere sono rintracciate dall’artista in una campagna e, dunque, più forte dovrebbe apparire l’analogia. Ci si deve invece fermare prima, in quello che non è ancora un metodo, non vuole esserlo, ma che individua comunque una propensione naturale. Qualcosa che si potrebbe definire come irrinunciabile e presente, a prescindere; qualcosa che agisce nell’essere umano, quasi inderogabilmente. Ravvisare poi nell’ambiente naturale la presenza di una lettera, la quale dà luogo a una frase è come un compimento, il dono inatteso causato dalla ricerca. Non a caso dono poetico.

http://www.piagazzola.com/

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