martedì 22 marzo 2011

“Roma e la Musica” di Fausto Razzi

Stralcio dalla prefazione a più voci dell’opera in corso di pubblicazione “Sotto il cielo di Roma“ (Roma nella poesia del mondo, da Licofrone alle Neoavanguardie degli anni ’60) a cura di Filippo Bettini

Per il tema Roma e la Musica il primo nome che viene alla mente sarà quasi sicuramente quello di Giovanni Pierluigi detto il Palestrina, Princeps Musicae, noto a tutti - per lo meno come nome, appunto - persino nel nostro paese di analfabeti musicali.
Ma oltre al nome di Palestrina, la cui opera - indubbiamente complessa e rilevante - si presenta più come sintesi delle esperienze di tutto il Cinquecento che non come preannuncio di quei mutamenti stilistici che portarono sullo scorcio del secolo alla nascita della musica moderna, molti altri ne vengono suggeriti da questo binomio: nomi tutti legati invece a quell’idea di avanguardia che è senza dubbio una necessità in ogni epoca. Quattro sono sufficienti: Luca Marenzio, Emilio del Cavaliere, Giacomo Carissimi e Gerolamo Frescobaldi. Se in Italia la conoscenza della letteratura musicale non fosse quella che è, la loro opera sarebbe giustamente conosciuta e apprezzata quanto quella di Ariosto Tasso Caravaggio Bernini Borromini.
Un aspetto molto interessante dell’attività musicale a Roma in quel periodo è poi dato dalle grandi manifestazioni che avevano luogo in S.Pietro, nelle quali il suono veniva proposto da vari “cori” vocali e strumentali che si fronteggiavano e si rispondevano, unendosi insieme in un complesso e mutevole spessore sonoro: si trattava indubbiamente di una continua sperimentazione sulla spazialità del suono, che prevedeva anche la costruzione di palchi - anche sovrapposti - su cui venivano situati i vari gruppi: una sperimentazione oggi pressoché sconosciuta, poiché persino la maggior parte dei musicisti ne ignora l’esistenza, ritenendo che esecuzioni di questo tipo fossero in quell’epoca una prerogativa della sola Basilica di S.Marco a Venezia.

Ma se in questo caso si tratta solo di ignoranza, la stessa considerazione non vale forse a proposito del silenzio calato sugli esperimenti di spazializzazione e movimento del suono effettuati a Roma in anni recenti per Nuova Consonanza dall’ing. Vittorio Consoli alla Galleria d’Arte Moderna. Nel 1977 egli progettò e realizzò infatti una complessa struttura formata da 128 altoparlanti sostenuti da una intelaiatura metallica a forma di cupola: il pubblico era collocato all’interno di questa e i suoni potevano essere indirizzati verso uno qualsiasi degli altoparlanti (ed ovviamente spostati dall’uno all’altro). Un progetto di spazializzazione non virtuale (come quella cui ci ha abituato in seguito l’informatica) ma reale, il cui unico precedente è quello di Le Corbusier e Xénakis con musica di Edgar Varèse al padiglione della Philips per l’Expo di Bruxelles del 1958. Tra parentesi, la proposta di Consoli era infinitamente più aderente e funzionale alle richieste dei compositori di quanto lo siano gli schemi tradizionali sui quali Renzo Piano ha fondato il progetto del recente Auditorium romano.
Nuova Consonanza, dunque: un’importante testimonianza del fervore intellettuale esistente a Roma nel periodo che va dagli inizi degli anni ‘60 fino agli anni ’80. Un’associazione la cui attività è stata così intensa e articolata da farne un centro di conoscenza della musica contemporanea che non solo non ha avuto pari in Italia, ma che è stato addirittura un punto di riferimento insostituibile per i movimenti dell’avanguardia a livello internazionale. Roma si era già trovata in una situazione privilegiata - e proprio nei confronti della musica contemporanea - nei primi decenni del ‘900: basta scorrere i programmi dei concerti dell’Accademia di Santa Cecilia all’Augusteo per rendersi conto che i più grandi compositori del primo Novecento approdarono a Roma nei trent’anni dal 1908 al 1938. E a Roma, oltre a numerosi intellettuali (Sacripanti Afro Consagra Capogrossi), hanno operato compositori di rilievo internazionale (Casella Petrassi Scelsi Evangelisti Clementi Guaccero): ma a questa circostanza - già in sé estremamente indicativa - si deve poi aggiungere la considerazione che la convergenza in un unico luogo di una serie di persone, di interessi e di energie è resa possibile anche dalla presenza di eccezionali operatori culturali: nella vita musicale romana troviamo infatti - in periodi diversi - figure totalmente differenti, ma accomunate dalla medesima volontà/capacità organizzativa: il conte Enrico di San Martino (Presidente dell’Accademia di Santa Cecilia dal 1895 al 1947) e due compositori: Alfredo Casella (dagli anni precedenti la Grande Guerra fino all’inizio della Seconda) e - nel secondo dopoguerra - Franco Evangelisti, fondatore (insieme ad altri compositori) di Nuova Consonanza.
Ma la felice situazione della vita musicale romana durante il secolo ormai trascorso non deve tuttavia far dimenticare lo stato presente delle cose, purtroppo assai diverso. L’inconsistenza culturale che caratterizza la maggior parte della classe politica italiana - quando non addirittura la mancanza di un interesse reale per la cultura - ha determinato una pressoché totale acquiescenza alle leggi del mercato, e le conseguenze di questa resa si sono rivelate particolarmente preoccupanti negli ultimi anni: è stato infatti attaccato il concetto del sostegno pubblico alla ricerca e alle operazioni culturali in genere, che si vorrebbero del tutto privatizzate, per far rientrare anche la cultura tra le attività con fini economici.
Quanto all’area specificamente musicale bisogna poi dire 1) che nelle Istituzioni pubbliche molti operatori si sono comportati come se l’unica produzione contemporanea fosse quella della musica di consumo, e 2) che un’insufficiente conoscenza si riscontra anche tra gli intellettuali, al punto che l’allora Sindaco di Roma Giulio Carlo Argan - presentando in Campidoglio Goffredo Petrassi - lo definì “uno dei più importanti operisti italiani”.
Ci si augura naturalmente che il fenomeno sia solo temporaneo, anche se un’inversione di tendenza non può che partire dall’azione decisa di tutti gli intellettuali. In ogni caso la musica si presenta oggi a Roma per lo più come un seguito di cosiddetti “eventi”, allineati perfettamente alle direttive di chi sostiene che la proposta culturale deve adeguarsi al mercato, e quindi conosce ed apprezza solamente la produzione imposta dalle multinazionali. E le stesse Istituzioni musicali non comprendono che per formare un nuovo pubblico non sono sufficienti proposte fondamentalmente conservatrici, anche se di buon livello, perché queste interessano solo coloro che non accettavano Stravinskj, che non accettavano - e tuttora non accettano - Schönberg, e che quindi rifiutano la musica del nostro tempo, quella degli ultimi cinquant’anni (che infatti è insufficientemente presente - sotto ogni punto di vista - nei programmi dell’Accademia di S.Cecilia). Non comprendono che per avvicinare realmente i giovani a Mozart non è sufficiente eseguire le sue opere, contando magari sull’effetto di una temporanea curiosità suscitata da banalizzazioni tipo Amadeus: la sua attualità  si comprende se la si confronta con il presente, con le difficoltà della nostra epoca, ossia appunto con la musica del ‘900. Ma per far questo occorre rischiare: e gli esempi del conte di San Martino, di Casella e di Evangelisti dimostrano che solo con il coraggio di chi crede in una buona causa si possono coinvolgere le nuove generazioni nella conoscenza di un linguaggio realmente attuale, che sia quindi strumento di riflessione.
Il problema è dunque ancora una volta quello di rendersi conto che la memoria del passato - indubbiamente una necessità imprescindibile - non può essere considerata un’operazione fine a se stessa ma (come sempre è stato) la spinta propulsiva per affrontare il presente e guardare con coraggio al futuro. E intendere questa necessità dovrebbe essere la prima preoccupazione di chi è preposto all’organizzazione della cultura.
                                                                                                                                          Fausto Razzi

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