mercoledì 28 settembre 2011

Lucio Saffaro “Disputa cometofantica” Sossella, 2011



La prefazione di Flavio Ermini al volume di Lucio Saffaro  Disputa cometofantica” Sossella, 2011, consente di comprendere come un testo che ponga l’iterdisciplinarietà di arte, letteratura e scienza come oggetto e stimolo del suo costituirsi, faccia riferimento a una cultura tanto vasta quanto complessa (complicata dagli intrecci di tali intersezioni), fungendo da necessaria griglia di riferimento per il lettore, necessaria perché poche  letture sono così perigliose. A tale prefazione, non possiamo aggiungere, se non alcune notazioni, qualche lampo, illuminazione e inevitabile caduta nel buio. Tale è la condizione in cui il lettore si viene a trovare, sorprendendosi di tale meravigliosa evenienza. Il libro è oscuro come risulterebbero oscuri testi di interpretazione, di iniziazione, ma è solo prima fugacissima impressione, poiché immediatamente dopo ci viene conforto da quello stesso testo che crea, inventa relazioni inaspettate, ci incanta e meraviglia: sotto gli occhi fra le parole si dispiega la soluzione, la chiave sono le parole stesse che formano una sorta di combinazione:

7.
Un sentimento affiora sul muro del mistero, quando il termine oscuro, apertosi alla fine del mondo, uguaglia se stesso nel nome del nulla.

10.
Se solo si sapesse reggere la gran vela della fine, si potrebbe placare l’orizzonte imperversante del futuro”

Come in un diario di bordo l’autore annota strategie,  controlla e affila gli strumenti, elenca quello che ha a disposizione, ciò che non si accorda con l’altro, ciò che si scolla dal tutto, il nulla che affiora come salsedine dalle formelle di cotto. E dove il tutto viene messo a operare insieme a capacità spurie, “l’integrale virtuoso del pensiero” che resta “ostaggio della poesia” nel suo infinito tentativo di raggiungere la pienezza di un limite in cui la poesia sembra invece risiedere da tempo.   La memoria poi vi gioca tutti i ruoli, non solo quello afferente a cose del passato, a cose che accadranno nel futuro (cioè prefigurate) ma gioca su più tavoli la medesima partita, dal che si ottiene un diverso punto di vista del medesimo oggetto. Basterebbe cambiare posizione, abbandonare il libro, rigirare la mappa e si otterrebbe l’intersezione creduta impossibile, la quadratura del cerchio, la compresenza di tutto ciò che fu, è e sarà su queste pagine.

Per questo il libro di Saffaro vale come esperimento esistenziale, inverte le rotte, ci mostra i vuoti, le ombre, le ramificazioni e ci dice di cambiare i punti di riferimento per compiere la traversata da un altro punto di vista. Gli stessi oggetti infatti sono diversi in relazione alle modalità in cui li esperiamo: se parliamo di distanza, l’astrazione ci gioca un brutto tiro e il presente appare “quasi fosse un ricordo diminuito”, se ci situiamo sulle sponde della memoria “si potrà assistere alla deriva dei sentimenti”. Non ci sarà mai una posizione riassumibile: ecco il perché degli “strati” nel testo a cui fa riferimento Ermini. Ciò che ci sembra più irraggiungibile è quanto c’è di più vicino perché fluttua nel silenzio, ove si veda che la nominazione, l’interpretazione sono la via esperienziale: l’arte, appunto che è la grande impresa della vita di Saffaro. I sogni trovano un limite solo nel nostro timore. Futuro, presente e passato costituiscono dei limiti autoimposti: possiamo svellere le categorie, crearne di nuove: non è il gioco delle permutazioni infinite, perché l’esistenza è oggetto invischiato nel loro miele, ed è nell’esistenza che si trova il fondamento.

”Solo l’alfiere privilegiato può scegliere l’arco arcano, quello che conduce al giusto intendimento”. Esistono soluzioni individuali, atti e pensieri giusti, risolutivi. Ecco! Il labirinto non è un marchingegno in cui tutto viene dissacrato, rovesciato come un guanto, in cui vengono disvelate  interiorità false e in cui lo smacco è la moneta corrente. La lingua vi ha davvero un valore risolutore: “L’annuncio di un vocabolo è un rischio nuovo, da completarsi sulle tavole di riporto”. Ed è anche di volta in volta soluzione locale, diremmo. Il futuro come “iperbole del linguaggio”.   D’altronde, le relazioni tra memoria e infinito, tra solitudine e il suo segno, tra il “sostegno segreto dell’assoluto” e “gli oscuri polinomi del tempo” sono di fatto rese possibili da un linguaggio che si avventa contro i suoi limiti. Ma sono rese possibili anche da un pensiero innervato d’immaginazione, per cui è possibile che si ricompongano “ tutti i sentimenti inespressi” fino a  sentire il loro decadere “nell’oscurità del pensiero”; oppure “87. Chi confida nell’inizio, ne troverà alla fine tutte le diramazioni”. O, ancora “84. Gli archivi vellutati della memoria sono il vanto della coscienza”.   

Non altrimenti che col linguaggio possiamo sfiorare la spirale della conoscenza. E con la creatività, persino i numeri superano la propria definizione nei recinti della logica. A riprova che le varie discipline non sono in contrasto o in guerra come la vulgata pretende, ma condividono un medesimo afflato, persino medesime capacità di sorprenderci e di sciogliere i nodi.    Ecco in che cosa consiste la “mappa trasgredita delle risonanze del pensiero”. Ma ci fermiamo qui perché è un libro inesauribile e circolare al tempo stesso, invitandovi ad attraversare questa mappa straordinaria.

                                                                                            Rosa Pierno

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