sabato 15 ottobre 2011

Aldo Ferraris “Nel cadere della corsa” in “Ante Rem. Scritture di fine Novecento"



“ancora non parlano che una lingua di colori
vibrata intorno come ragnatele senza vittima
si nascondono i bambini in luoghi pronunciati una volta
in angoli dai nomi come sassi tirati contro un vetro
rivelano la propria assenza i bambini prigionieri
una riga per terra a impedire la bufera”


“ancora non parlano che una lingua di colori” è il primo verso del componimento di Aldo Ferraris da “Nel cadere della corsa”, in “Ante Rem. Scritture di fine Novecento”, (Antologia a cura di Flavio Ermini, Anterem Edizioni,1998, pag. 252), oggetto di questa brevissima nota.
Coloro che non parlano che tale lingua sono “i bambini”.
Quell’ “ancora”, ben lungi dal dover essere considerato quale riferimento a un’infanzia ritenuta minore, per così dire, rispetto all’età matura, va letto come affermazione di positive qualità.
Il meccanicismo, rigido e sbrigativo, ossessivamente rivolto a esaurire l’argomento, non si è ancora imposto: la lingua coincide con i colori, gli odori, il tatto, le emozioni, le sensazioni, ossia è, in definitiva, esistenza.
Così le parole dei bambini – monelli sono “nomi come sassate contro un vetro” in un mondo nel cui àmbito l’espressione è confusa con la vita.
Mi chiedo: qual è la posizione del poeta?
Il suo è un racconto dall’esterno?
Una rappresentazione, sia pure molto precisa e raffinata?
Sì e no.
Sì, se si guarda all’età anagrafica dell’autore, ormai adulto, no, se si pone attenzione al suo linguaggio.
La poesia è, in generale, ricca di valenze evocative, dice (molto) proprio in virtù di peculiari allusioni e metafore che nell’uso quotidiano sarebbero tacciate di vaghezza.
Aldo, originale ed elegante, descrive una certa situazione e, nello stesso tempo, la rende viva, presente: con ferma affabilità suggerisce come dall’interno, mostra una situazione esistenziale rendendone il lettore intimamente partecipe.
La sua è anche (e soprattutto) “una lingua di colori” che non tende, come spesso accade nel discorso comune, a imprigionare nel problema, bensì ad aprirsi, in maniera feconda, all’enigma.
È un’occasione, insomma, per raggiungere maggiori consapevolezze.

                                                                    Marco Furia
                                                                                                                

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