mercoledì 26 ottobre 2011

Edmond Jabès “Il libro delle somiglianze” Moretti&Vitali, 2011


Somigliare, vocabolo chiave ne “Il libro delle somiglianze” di Edmond Jabès, (traduzione di Alberto Folin, premessa di Vincenzo Vitiello, postfazione di Flavio Ermini), non narra di un avvicinamento che tenda al limite dell’identità. Seppure “Dalla sua somiglianza con il libro, al libro della sua somiglianza”, sembrerebbe indicare una finale tangenza in un medesimo punto tra soggetto e libro, tuttavia la somiglianza, la quale s’inscrive nella differenza, non può produrre leggibilità piena né del soggetto né del libro. E “illeggibilità” resta coniugata alla somiglianza per questa via. Tant’è che ““Tu sei colui al quale somigli” ma io assomiglio, ogni volta, a un altro”. Ove nemmeno il soggetto è fatto salvo dalla differenza, dal divenire, rispetto a se stesso. Siamo nel cuore della questione: negare l’essere come qualcosa di fisso, immutabile, dato una volta per tutte.

Interrogazione, racconto, commento sono le strategie messe in atto da Edmond Jabés per sfuggire alle strettoie di una definizione che ha nel nome uno dei maggiori nemici. Sebbene lo scrittore sia inchiodato al libro da scrivere, tale scrittura non consisterà che in un protrarre. Questo protrarre – azione non diluita nel tempo, ma tenuta nel tempo – è anch’esso una strategia: “Chi è padrone assoluto del proprio corpo?”. Si comprende che già solo rispetto al corpo si apre una voragine, che parlare del corpo non è scontato, né facile.

E il tempo, in questo tentativo di adescare i vocaboli che  consentiranno la cattura del senso in divenire (azione, si vede bene, che non potrà mai essere portata a compimento), è come un cursore che rende presente il passato e viceversa consentendo quella promiscuità e quella coesistenza, la quale si mostra maggiormente adeguata alla restituzione di un senso che intercetta l’essere mentre diviene.

“Di libro in libro” è quasi il percorso che si attua su ogni pagina di Jabès con quei magnifici spazi bianchi, che l’edizione Moretti&Vitali ha consentito di amplificare. Si può leggere il libro, o anche solo guardarne gli interstizi, le asole vuote, quell’irraggiarsi del vuoto solo a stento trattenuto dalle ritmiche righe.

Leggere è slegare e riannodare continuamente. Leggere è il nostro legame e leggendo e scrivendo scopriamo il nostro io come  “nodo di corrispondenze”. E scopriamo che la pagina ancora da scrivere è quella da strappare all’eternità. Se anche cogliamo un’eco leibniziano, in cui l’eternità è presa nel laccio del finito, diversamente accade in Jabès, in cui tutto è ancora da strappare all’eterno. E mai se ne potrà immaginare il compimento.

Reiterazione, ripetizione si basano sulla memoria,  e non si dà erranza senza la memoria del perso, della meta da raggiungere. Se il desiderio di voler trovare risposta ai quesiti fondamentali dell’esistenza è un impulso insopprimibile, solo con la resistenza si riuscirà a non cedere a nessuna risposta. Trovare una risposta può voler dire perdere pezzi di verità, frammenti di molteplicità, forme frammiste di divenire.

Nella scrittura che non conosce soluzione di continuità se non nella spaziatura della riga, nei margini della pagine, il senso non si sfilaccia a causa della sua impossibilità di dire: più che un’incapacità, crediamo sia appunto un criterio di sopravvivenza: non credere che ci sia un senso raggiungibile, che dia risposte immodificabili. Il senso stesso allora sarà erranza ininterrotta. Il soggetto verrà a coincidere con la sua azione. Il soggetto erra, come erratica è la scrittura. Il soggetto muta, si adegua, coglie i segni, li accoglie, non li trancia, né li scarta. In questo senso una parola può nascere, poiché viene accolta, amorevolmente curata dal poeta.

Lì dove la profondità coincide con l’estensione e dove uno scrittore “è un’ombra che porta un uomo”, si vedrà all’opera un rovesciamento: pratica che sventra, che sfonda, che apre dimensioni in cui la percorrenza non è lineare, nonostante la bidimensionalità della pagina.

Questo percorso temporale e spaziale serve a tenere sempre ben presente che se “il Mondo si limita a noi”, “Il libro è un momento della ferita o dell’eternità”. E’ come la falla tenuta aperta da un soggetto che nel saldare il proprio legame riconosce la propria libertà e anche il rinnovato legame con quella parte di sé che ha potuto produrre l’innominabile. “Nodo tranciato” e “vita del legame” sono come saldati.

L’impersonalità che Jabès sottolinea: “ per quanto si possa affermare che il libro, di cui lo scrittore è strumento, gli appartenga – è in realtà il libro trasmesso da tutti i libri” sui quali “lo scrittore non ha alcun potere”.  “Opera illimitata”: Nessuna origine individuabile, così come nessuna teoria deve essere a essa sovrapposta. Unico criterio è l’interrogazione.

Interrogazione effettuata con “la parola sorgiva, tollerata, combattuta”, con la parola che “ha preso il nostro posto”, cancellazione compresa. Perché, come dicevamo, il soggetto si realizza non solo con l’azione dell’interrogare, dell’errare, ma tramite le somiglianze istituite dalla scrittura. L’immagine creata ogni volta dalla scrittura è rivelazione della somiglianza. Tra soggetto e universo: tramite la sua proiezione” al fondo di noi stessi”.

“La somiglianza ha tutto da perdere dall’inessenziale. Essa è l’essenziale riprodotto nel circuito delle forme, delle idee, delle metafore e delle alleanze – essenziale conservato dai rapporti tra oggetti e parentele di oggetti”.

A dimostrazione che sono proprio le proprietà del linguaggio a rendere possibile tale interrogazione. Soltanto paradossalmente Jabès ha identificato il raggiungimento dell’identità: “Quando a forza di privazioni, giungeremo a non essere che un punto in tutti i libri, la nostra somiglianza a Dio sarà compiuta”. Esito impossibile che annulla la prospettata riduzione al punto. Peraltro “L’eternità è conflitto di somiglianze”.

Cadono così le cesure tra morte e vita, tra nulla e pienezza dell’essere, tra l’io e l’altro. Ci si apre a “un ordine imprevedibile”, ci si lascia trascinare, certi che non ci si perderà, proprio se si adempie a questa ricerca incessante.  In ogni caso “Quel che è da leggere, resta sempre da leggere”. E questa a nostro avviso può costituire l’epigrafe di questo inesauribile libro, qualcosa che non possiamo non pensare rispetto al lavoro inconcludibile di conoscenza che abbiamo dinanzi. 

                                                                                                       Rosa Pierno

1 commento:

giampaolo dp ha detto...

bene. lo vorrei!

saluti,
g.