lunedì 7 novembre 2011

Félix Duque, Vincenzo Vitiello “Celan. Heidegger” Mimesis, 2011

Félix Duque e Vincenzo Vitiello saranno ospiti di “Parola per Parola” Convegno Internazionale di Poesia organizzato dalla rivista “Anterem” e dalla Biblioteca Civica di Verona il 12 novembre 2011. Il loro dialogo verterà sul rapporto impossibile tra il linguaggio poetico di Celan e il linguaggio filosofico di Heidegger.

Non esattamente un confronto a due voci, quello in atto nel libro che raccoglie i due consistenti testi di Félix Duque e di Vincenzo Vitiello “Celan. Heidegger” Mimesis, 2011, poiché autonomi e aventi approcci differenti, sebbene il tema sia la poesia tramite l’interpretazione che di essa hanno dato Celan e Heidegger in relazione ai temi che si sono manifestati essere inevitabili nel Novecento.

Se nel testo di Duque si affronta direttamente la questione dell’indicibile in poesia e della possibilità effettiva per la poesia di parlare dell’olocausto, in Vitiello il tema è affrontato a un livello generale per quello che riguarda la specificità della poesia  e la sua funzione. 

Nell’esperienza di ciò che “non sarebbe mai dovuto accadere” e che nessuna ragione al mondo può giustificare, Félix Duque pone nella necessità di ricordare la presenza del dilemma posto dal monumento che pietrifica qualsiasi capacità commemorativa, quasi giustificazione dell’inevitabilità dell’accadere. Contro questo infido risvolto, che ha un cardine nella proibizione di dimenticare adorniana, Celan denuncia  che la fissazione nel linguaggio provoca, tradendo “quello stesso dolore che la memoria aveva la missione di preservare”.   

Sarà concentrata in questo sforzo sovraumano la poesia di Celan che vorrà tenere fede alla necessità di conservare la memoria dell’inaccettabile che pure si è compiuto, tentando al contempo di evitare la sua fossilizzazione in forme retoriche, in immagini statiche.

La finissima analisi condotta da Duque sui testi celaniani mostra come il poeta abbia divelto nei suoi versi le regole della fissità dei significati pur rimanendo saldamente avvinghiato alle atrocità che s’intravedono in uno sfocamento e in una rimessa a fuoco senza soluzione di continuità. Una massa continua, fiotto di tenebre e di lucori, di angoscia e non suturabili ferite interiori sbarra il passo a qualsiasi tentativo di esautorare la tragedia, di schematizzarne le ragioni, di tracciare una via di speranza.  Celan risiede stabilmente in una ferita aperta e la memoria non può essere che un presente invalicabile.

Non eluso dallo studio di Duque è anche il rapporto di Celan con Heidegger (e in questo si ravvisa il legame col testo di Vincenzo Vitiello) che è di radicale antitesi: se per Heidegger “l’essenza della memoria risiede primariamente, originariamente, nell’aggregazione o raccolta del disperso”, per Celan “la memoria è qualcosa di ricevuto, ma più come un carico insopportabile che come base e fondamento solido per radicarvi ogni pensiero e azione”.

A questa visione in Celan si legano sia la convinzione che il linguaggio è forza “creatrice e distruttrice al tempo stesso” sia la necessità di non dividere il “No dal Sì” alfine di “mantenere uniti l’Essere e il Nulla come Non-fondamento e S-ragione”. Anche declinabile come rifiuto della filosofia e dislocazione nella poesia.

A partire dal rapporto di queste due ultime forme, Vincenzo Vitiello effettua un’indagine sulla posizione di Heidegger sul linguaggio esplicitata in “Pensare e poetare” che è, appunto, il terreno di confronto tra Heidegger e Celan.  Per il filosofo il linguaggio  è “la dimensione costitutiva dell’esserci-nel-mondo”, ma è nel linguaggio che Heidegger coglie l’angoscia dell’insignificanza, la quale lo spingerà a volgersi oltre i confini della filosofia, per cercare nella poesia una logica più profonda “capace di dire quello che il linguaggio della scienza non può dire” poiché “vòlta alla determinazione dell’ente in quanto tale e nella sua universalità”.

Heidegger avverte, dunque, l’esigenza di un linguaggio capace di “portare a parola le tonalità emotive fondamentali dell’esperienza non come ‘oggetto’ di discorso, e quindi post factum, ma nell’atto stesso del loro esplicarsi” e riconoscendo alle arti la capacità di rappresentare “la ‘cosa’ singola nell’intreccio di rapporti che eccedono totalmente le analogie della scienza”.

Vitiello individua però l’impossibilità del rapporto fra Celan e Heidegger, poiché quest’ultimo non può che usare il linguaggio da filosofo giungendo ad affermare che “nessuna cosa è dove manca la parola”. “Il linguaggio in Heidegger è “lo spazio che tutto accoglie e pertanto da nulla definito”. E’ quell’universalità pura che non sta “nella scissione amico/nemico, nella separazione vincitori e vinti”.

Una perlustrazione accurata e profondissima nella poesia di Celan, consente a Vitiello di individuare alcuni dei punti cardine della sua poetica che attraverso l’uso della lingua nominale forma mondi, non rinuncia al dialogo, né alla storicità della condizione umana, ma nemmeno si esime dal cercare “un essere-accanto più originario dell’essere-con”.

                                                                                                               Rosa Pierno

Per ulteriori informazioni: http://www.anteremedizioni.it/parola_parola

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