giovedì 20 settembre 2012

Mario Fresa “Alluminio” Lietocolle, 2008


Mario Fresa è uno di quei pochi poeti di cui si sente la voce, già mentre si legge la prima strofa. È una voce caldissima, commossa, epica che ci introduce in un universo di oggetti enigmatici eppure amichevoli, ove persino il silenzio è un’argilla che rinvia al concetto di spazio plasmabile e dove, dunque, ogni elemento non è più astratto. Mario Fresa con “Alluminio” Lietocolle, 2008 ci presenta un mondo in cui spinozianamente nessun elemento perde il suo contatto con la propria concretezza, particolarità. Nessuna ragione ne incenerirà le mobili e seriche apparenze, nessuna passione ci invischierà solo perché si è all’oscuro delle possibilità, aperte e plasmabili, insite in ciascuna cosa che cade sotto il nostro sguardo. Se Spinoza ci ha indicato la possibilità di questo modo di percepire e sentire, Fresa attraverso la sua poesia  ce lo mostra in atto.  Sgombrato il campo da paure e speranze, immaginiamo appunto che debba essere proprio questa la quieta, placante voce:

II

Il cristallo è perduto ma tu riposa:
si accendono le dita nell’argilla del silenzio.
Nell’odore del dormiente ci sono ricci
dalla lingua sconosciuta
e c’è l’obliquo amore
di chi sorride nella notte
della rincorsa vera.

In essa ogni parola acquista una profondità che è riflettanza, un bagliore che è oscurità, il senso è plurimo e mosso, desiderio e amore aprono le porte alla conoscenza ove le cose sono, appunto, instabili e inafferrabili, inestricabili e disciolte. Non a caso abbiamo pronunciato la parola ‘epica’: la voce narrante si situa in un tempo perenne, che è passato e in cui, eppure, siamo immersi, ove tutti gli eventi coesistono nella mente e noi li percepiamo sulla pelle. Le voci, i gesti, i volti appartengono contemporaneamente alla storia e alla leggenda, ai miti e al quotidiano: “Si apre volando il celestiale nastro che sorveglia già le strade: / la seta fascia i gesti / e come tace lo stupore della vista, / come risplende il fiore degli abbracci / ricaduto nella luce di fantasmi…”.

Il passaggio dall’oggetto al simbolo è il passaggio da un tempo prosaico a un tempo universalmente valido. Fresa è poeta che va contro la contemporaneità per aprire alla coesistenza. Nessun indugio o obolo da pagare all’osservanza di regole o precetti; egli, letteralmente, ricrea il mondo anche in senso anacronistico. Crea un tempo inesistente: assolve alla funzione del poeta: “una bendata resistenza” che vale come profezia, sguardo che va al di là, capace di sfondare le convenzioni, di essere preveggente, di restare fermo e saldo, di non appiattire la ragione sull’esistente, né sacrificare il potere dell’immaginazione di raffigurarsi il diverso.

Nessuna attesa in questi versi, tutto è già sulla pagina: il desiderio ha attuato il reale. Nessun dubbio le abita. Nessuna separazione dell’intelletto dall’amore, della mente dal corpo, della volontà dal desiderio, dell’altruismo dall’amor proprio:   

V

Conoscere il centro, la carezza, l’occhio bruciante
mentre adesso si risvegliano minute
le profezie discese nella sera
dei dolori: così andremo col passeggio che ribolle
sui candidi riflessi, finiremo
nella morte lentissima di luce:
sulle veloci labbra si è riposata lieve l’ombra
per sognare la vittoria sulle cose

Attraverso la rinuncia alla violenza delle passioni e all’uso limitante della ragione, e con un’immaginazione che lavora sulla fantasmatica ricomposizione dei frammenti, reintegrazione delle lacune e delle mutilazioni di senso, Fresa ricostruisce ponti e lì, dove era oscurità, procura passaggi. Fantasmatica poiché la consapevolezza è propria di colui che diventa quel che è: egli non sostituisce vecchie credenze con nuove, ma è consapevole in ogni istante della propria cesellata, preziosa creazione.
Di questa poesia dagli accordi soavissimi, risuonanti come il getto di una fontana, fantasmagorica come le vetrate di una cattedrale gotica, che continuamente mette a fuoco e sfoca per sostituire immagini sonanti con immagini rutilanti, immagini sul far della sera con albeggianti quadri d’insieme, moti di ardore con stasi orientali, Fresa è infinito demiurgo che ci libera da immagini fisse, predisposte da altri e ci riconsegna, finalmente, al nostro mondo.
  
                                                                                            Rosa Pierno

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