domenica 13 dicembre 2015

"L'acqua, il vento, la poesia" di Stefano Iori


                                                                             "La vertigine del vento" di Stefano Iori

“Capita a volte che la vita vada avanti lenta, monotona come lo sgocciolio di una grondaia che a poco a poco scava un solco in giardino. Il flusso incontra un dosso di terra, viene assorbito, scorre formando una piccola pozza, esita, prova a rodere la montagnola che blocca la strada o a scavare sotto di essa. Per via di quell'ostacolo, dunque, l'acqua avanza  diramandosi in tre o quattro sottili rivoli. Oppure rinuncia e affonda nella terra”. Così scriveva Amos Oz all'inizio del settimo capitolo del suo romanzo Giuda (Feltrinelli, 2014).

Alla fine della lettura, dopo aver sistemato con cura il segnalibro giallo al termine delle pagine lette, mi precipitai al computer. Lo accesi e cercai, tra i cento file sparsi, un brevissimo saggio che avevo scritto due anni fa per pubblicarlo sul sito dell'amico Claudio Di Scalzo: Olandese Volante. Lo trovai. Si intitolava La memoria dell'acqua e la poesia. Ripassai l'intero testo e giunsi alla parte che cercavo. In me stava nascendo profonda euforia.
Apportai alcune minuscole correzioni e fui felice. Di seguito potete leggere la versione rivista.

“La poesia (la nuova lingua) è in noi e chi se ne avvede scopre che questa scorre come acqua spinta dalla speculazione intellettuale in rivoli piccini, capaci di passare per ogni minuta fessura, di scorrere in ogni imprevedibile pertugio trasportando scorie di vita vissuta e atomi di giorni immaginati. Acqua che filtra negli spazi vuoti, caverne di vita aliena che sfuggono inesorabilmente (con tutto quanto in loro è celato) alla presa della coscienza consuetudinaria, all'ordine culturale e morale pre-costituito.
Poesia è descrivere questo lieve, eppur incessante scorrimento della parola nel vuoto-ignoto.
L'acqua ha una memoria? Bene, il poeta è quindi, in parallelo immaginifico, lo storico e il traduttore del pensiero sfuggente, dell'invenzione che appare con veste di verità-sorpresa in una frazione di pensiero. Cogliere questo istante inatteso significa cogliere la poesia stessa, abbracciarla con amore per poi iscriverla sul foglio portandola semplicemente alla dimensione di un tempo concepibile. Il tempo di pochi versi che possono alludere gloriosamente a realtà ignote o nascoste. Un racconto di verità mai detta o di inesplorata finzione. Che può vivere il fulmineo istante di una coincidenza, della scoperta o della dimenticanza. L'attimo sfuggente della rivelazione che è già rimpianto, un magma sottile e sorprendente da cui dedurre dolori, passioni e risa. Atti che si fanno parola nuova (gioiosa) nel momento in cui il verso risuona per la prima volta grazie alla voce del poeta. Per morire subito dopo e poi rinascere nell'incessante ritmo fantasmatico della scoperta”.

Un solo dubbio, nel suo cercare meritevole chiarezza, mi venne incontro dopo l'ultima rilettura di queste riflessioni. Il poeta, storico e traduttore del pensiero sfuggente, è il vero creatore dei propri versi? Oppure questi vengono da lui scritti assieme ad un'anima aggiunta, operatore logico dalla misteriosa essenza che, in contrasto solo apparente con la sua volatile vitalità (liquida come acqua), dà fuoco al rigo iniettandovi molecole di idee fluttuanti nell'universo, frammenti di sogni impossibili, ricordi smentiti, coriandoli di pensieri mai pensati? Se è così, come credo, ringrazio la mia anima aggiunta.

Ma cos'è l'anima aggiunta?

Il vento, il fuoco, lo spirito.
Un fenomeno straordinario si abbatté sulla casa dei discepoli (v. Atti degli Apostoli, testo attribuito a Luca di Antiochia). Quando il vento, gagliardo e impetuoso, riempì la stanza, fra alti vortici di fuoco, “... essi furono tutti pieni di spirito santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo spirito dava loro il potere di fare”.  Altre lingue. Altra lingua: la poesia.
Luca (primo secolo dopo Cristo), scriveva in greco. Pnoé, dunque, il vento, il soffio che introduce lo spirito: pneuma.
Tale concetto si ritrova nella cultura ebraica. “Lo spirito di D-o mi ha creato e il soffio ( neshamà[1] - pnoé) dell'Onnipotente mi dà vita” (Gb 33,4). E ancora: “Lo spirito dell'uomo è una fiaccola del Signore che scruta tutti i segreti recessi del cuore” (Pv 20,27).
La cultura greca antica fu politeista. I Vangeli si ressero su di un'idea trina: Padre, Figlio e Spirito Santo. Quella ebraica è invece una sapienza duale: tutto nasce dall'Ein Sof, ovvero l'uno infinito. Si tratta dell'ossimoro della “luce oscura” concepita come D-o prima della sua automanifestazione: raggio luminoso e buio assieme. Quando l'essere superiore e divino si affermò come tale creò Adam a sua immagine e somiglianza: uomo e donna. 0 e 1. Concetto duale e binario.
È qui curioso notare come in tali differenti concezioni mistiche l'idea di “spirito” come “vento rivelatore – anima superiore” sia di fatto corrispondente.

Anima aggiunta, dunque, come soffio divino, o comunque altro. Capace di scrutare i segreti più nascosti, e quindi in sé ignoti, che ribollono nel cuore di ciascuno. Letture scordate, insegnamenti trascurati (o celati) di maestri, frammenti di vita vissuta senza apparente radice.
Quando tali segreti vengono a vivere nel vento e quando possono finalmente essere condotti a un rigo, con impegno certosino, ecco che nasce la magia (o se si preferisce, la mistica) della poesia. Prima amalgamata nella dimensione del mistero liquido, poi rivelata e scritta.
Mai rinunciare, mai affondare nel buio della terra (come i rigagnoli descritti da Oz, pur destinati a divenire altro). Meglio accogliere con garbato e affettuoso abbraccio la rivelazione. Meglio ascoltare l'anima aggiunta che pulsa nonostante il nostro volere e la nostra coscienza. Meglio nutrirsi, con coraggio, della manna della nuova coscienza.
“... non appena i figli di Israele avvertono anche una piccola oncia di rivelazione, subito li invade una gran gioia" (Rabbi di Czortkow citato ne I racconti dei chassidìm di Martin Buber, Longanesi, 1962)

Anima aggiunta

Altro da me,
l'anima aggiunta
lavora da sola
Mi scrive e mi dice
con fare garbato
La penso e non c'è
mi volto e lei ride
Il bello – sapete? -
è che lascia i suoi segni

(Da L'anima aggiunta di Stefano Iori, SEAM 2014, edizione italiano-inglese con prefazione di Beppe Costa)



Stefano Iori




[1]             Neshamà: parola antica che, secondo la Cabbalà, rappresenta l'anima superiore o "anima superna". Questa separa l'uomo da tutte le altre forme di vita. È correlata all'intelletto e consente all'uomo di godere dell'aldilà. Permette di avere consapevolezza dell'esistenza e presenza di D-o

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