venerdì 26 agosto 2016

"Autoritratto alla maniera antica", poesia inedita di Gio Ferri








Alla maniera di un ritrattista cinquecentesco, Gio Ferri si restituisce con una mappa psicologica del tutto depistante. Non occorre sapere che un gran maestro non può cedere alla lusinghe di una riproduzione/rappresentazione veritiera, cioè concordante con il sé reale. Non fosse altro che perché il sé reale è una sorta di creatura mitica, a cui ci avviciniamo come a un limite, da cui ci allontaniamo come da un raggiro o da un'imposizione. Il sé, forse, non è altro che un andar per luoghi, un visitar fortezze, un espugnare contee, sorta di viaggio onirico fra cose credute vere che tali non sono:  ci vuole del coraggio donchisciottesco, insomma! Credere che possiamo da soli dare una definizione di noi stessi, senza tener conto del fatto che per farlo dovremmo conoscere altrettanto bene tutti gli altri è davvero un sogno ad occhi aperti. Come possiamo definire la nostra intelligenza se non in rapporto a quella degli altri? Ciò  vale per la nostra sensibilità, la nostra capacità di amare, la nostra moralità. Così, con tale zavorra, Gio Ferri tenta di affrontare l'impossibile impresa.

La dichiarazione è subito servita: "Egli è quel che cerca l'inventa lengua / E parola nuova mette alla prova". Il tutto, come se già questo non fosse sufficiente, trova ulteriore terreno infingardo nella capacità dell'ascolto altrui: nemmeno la comunicazione è possibile quando si misurano quantità diverse. A riprova che la diversa quantità delle capacità umane è qualità. L'impossibilità dei più di comprendere il prodotto artistico degli altri non è una frottola. E personalmente mi sono sempre stupita del fatto che non si nutrano dubbi sulla propria capacità di comprendere il genio altrui. E per restare nel Cinquecento,  a cui per altro l'uso della lingua arcaica di Ferri rimanda, quell'impenetrabile sguardo che ci lanciano i ritratti e gli autoritratti non sarà un memento volto a ricordarci proprio questo?

Circa la questione di un uso stilistico della lingua che ricalca certe caratteristiche di una scrittura poetica legata al passato, si deve dire che una  sorta di ironica presa attuata per i mezzi della parodia rende buon servigio al Ferri al fine di pronunciare ieratico distacco da quel che afferma. Lo stesso tema dell'autoritratto non sarebbe più moneta corrente nella cultura contemporanea. Il fatto, anzi, di marcare arcaicamente il testo configura il concreto bersaglio della poesia. Il cambiamento d'orizzonte testuale e storico inquadra il problema attuando una sorta di sfocatura che ci fa riflettere sulla difficoltà del tema, sulla sua variabilità: parlare di sé, farsi comprendere dagli altri. Sarebbe più questa una poesia sul tema della ricezione e della trasmissione, che mette a fuoco scarti e impossibilità, disguidi e ritardi e ci costringe a riflettere sul tema del linguaggio con una sola certezza nel fodero: la mobilità dei concetti, la loro storicità.

Ora che i tentativi si ammonticchino, e si protraggano oltre ogni evidenza di trarne risultati, è quasi un corollario. Che importa, non sarà  mica perché serve, ma solo perché si deve fare, si sente la spinta a farlo comunque (e si vedano alcune magnifiche dichiarazione di Samuel Beckett sull'argomento). Resta nascosto il tesoro interiore, non tanto perché lo si nasconda volontariamente,  essendo anch'esso sconosciuto all'artista, ma perché si sa per certo che è un continente inespugnabile e ciò nonostante cercato tenacemente, avvistato miliardi di volte, riperso fra le nebbie e poi, intravisto, ancora.

                                                                                   Rosa Pierno



Gio Ferri
Autoritratto alla maniera antica

Io son quel che spazia di stanza in stanza
E invan disperde sua poetica rabbia.
Vuol sortir di sua gabbia
Ma blatera in sue labbra
Egli debole che brama parola forte
In altri biasima fiacca di morte.
Ma non v’è chi l’ascolti
Et egli alfin bestemmia la sua sorte.
Quel che dice e disdice
Quel che d’amor si langue
Pur gli ribolle il sangue
Egli è quel che cerca l’inventa lengua
E parola nuova mette alla prova.
Ma l’ascoltar non trova
Poiché sfugge suo senso al comun senso
Sì che intorno il vuoto si fa più denso.
Non lontano il tempo di sua vecchiaia
Egli ringhioso cane latra e baia.
Ma non si dà per vinto
Quindi fuor dal consorzio è spinto.
Cocciuto  alchimista traccia sua pista
Ma pur chi l’ascolta
Presto ancor l’ignora di svista in svista
Al nuovo s’arrovellan seco lui
Maniere antiche sì
Che ignoranti bestie
Si fan vieppiù nemiche.
Che sarà di sua personal malìa?
Ansioso ancor cerca e spia
Il suo destino avverso
Tanto che così tronca suo verso.
In landa desolata egli è perso
Ancorchè il suo cielo gli paia terso.
Ma non perde fiducia
Di fiamma in fiamma brucia
Ei non rinuncia al cruccio
Ma sì vive la forza d’esser vivo






Tanto che di tanto in tanto ei si ferma
Alla riva del rivo
Ad asprirar solingo
Quel flusso dell’acque.
Come quando malinconia si tacque
Nascosta e ristretta in
Pugno mentre riguardava quel che passa
Senza cedere alla maniera lassa.
Pur nel dubbio
Protervo non si pente perso nel suo verbo
E nasconde e non rende quant’egli
Avaro tiene in serbo.

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