mercoledì 20 dicembre 2017

Rita Iacomino “Dura verticale” edizioni della Cometa, 1999




Che la realtà sia determinabile attraverso i colori e che il mondo si strugga nell’evidenza di una favola dai riverberi bizantini, è qualcosa che non consegna certo dati affidabili. Vi è maggior consistenza nel pensiero, il quale assegna agli elementi nome e ruolo. La conoscenza, nella silloge “Dura verticale” di Rita Iacomino, del 1999, non si evince dalle cose, ma si possiede a priori.

È il quieto ristagno delle ore
un’ombra avversaria
dal picco lunatico del colle
mi scende a valle;
l’anima non ha due scarpe
ma un solo piede...
il fenicottero sa
dove regna l’altro.

Certo anche qui s’insinua un dubbio: e se le cose avessero “un altro nome”, se i sassi galleggianti fossero in realtà “anemiche meduse”? Ma il linguaggio è un approdo e si conosce pur senza sapere come, pur con uno strumento che appaia lacunoso. Comunque sia, la funzione del ricordo, in tal modo, è salva: restituisce vivide certezze. Tuttavia, certe idee, solo doppiate dal reale,  sono più salde nello splendore della propria evidenza, quando esse non siano ancora  espresse tramite parole. Le immagini hanno questo pregio inimitabile, più vicine al simbolo, si mostrano come incapsulate in un senso che non si altera.

Restammo attoniti
respirandoci l’un l’altra incogniti;
ferma era la primavera 
più ferma la ragione,
ma la Madonna di Piero
sperduta fra i campi
a San Sepolcro,
non attraversava la soglia del dolore.
Le gocce di sudore dall’intonaco
sono cadute a sconvolgerla
la geometria della croce.

All’interno di una wunderkammer dove l’autrice raccoglie le sue icone, come carte da gioco aventi un significato preciso e immutabile, pur se inespresso, ogni poesia che le registri appare frutto di un cesello e ha un riverbero smaltato. Ma la stanza ha un ulteriore scopo:  consente l’eliminazione dell’attesa: il gesto vi appare sospeso “come un giglio dipinto”: la pittura ha dunque parte essenziale nella sistemazione del mondo personale della Iacomino. È la pittura che sottrae il contingente ed eleva la realtà, sottraendola al divenire, “nell’immobilità del fare”; quella pittura che “senza mai essere vento,/ fino a qui, / senza mai essere vento”.

E dammela questa scrittura.
Lei sola, che perfori,
tagli, isoli e sconnetta.
Dammela di guardia
a questo affresco discialbato 
che maturi lentamente 
e il colore furoreggi.

Alla scrittura resta affidato il compito di tagliare, sconnettere, isolare, quasi  rinverdire il senso, consentendo ai colori di ravvivarsi e di sfuggire alla perfezione di ciò che è statico, di ciò che pure è stato così a lungo perseguito, che è stato gestito con metodo: “ devi avere pazienza “, “devi aspettare “, “dovrà passare tanta polvere”, quasi, a tratti, un rituale alchemico che saldi morte e vita. Sembra necessario, dopo avere fissato la perfezione nel quadro, ridonargli la parola.

Cerchi un riposo
un riparo da tutte le lingue
da tutte le righe
dal campo sterminato di parole;
chiudi gli occhi di tutte le immagini 
di tutte le finestre in cui
si consuma e dibatte
l’uomo e il suo cane.
Un riparo, un nervo sano
un punto non toccato dall’ariete.

Non una parola consueta, ma una parola distillata dalla pittura.






Breve nota biografica di Rita Iacomino 

Nel 1989 vince il Premio Montale con la silloge inedita Luoghi impraticabili nella memoria (Scheiwiller, 1990). Nel 1999 pubblica la raccolta Dura Verticale (Edizioni della Cometa, 2000), nel 2005 pubblica il racconto Gallina Albas(Derive e Approdi), nel 2010 vince il Premio Logos con la raccolta Amore di Silvia e Atlante (Giulio Perrone, 2010). Vince nel 2010 il Premio di poesia Quaderni di Lìnfera con la raccolta Poemetto tra i denti (Progetto Cultura, 2011). Con Poemetto tra i denti è finalista, nel 2012, al Premio Internazionale di Poesia Mario Luzi. Nel 2016 partecipa con l’operetta Ariadna Rewind al Festival Pépète Lumière di Lione.

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