martedì 13 marzo 2018

Al Museo Hendrik C. Andersen, la mostra Elogio della carta. Filieri, Montani, Sonego. Nuove acquisizioni per il Museo H. C. Andersen



L’otre dei venti, carta fatta a mano e pigmenti naturali, 2018


Al Museo Hendrik C. Andersen, la mostra Elogio della carta. Filieri, Montani, Sonego. Nuove acquisizioni per il Museo H. C. Andersen, curata da Maria Giuseppina Di Monte, presenta le opere dei tre artisti contemporanei, in parte acquisite dal Museo nel 2017 grazie a un finanziamento della Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane per l’anno 2016 e in parte realizzate su committenza del museo.

Alfonso Filieri, Matteo Montani e Nelio Sonego hanno preso le mosse dalla “carta”, che non è solo il medium ma la vera protagonista delle loro creazioni immaginifiche e poetiche. La  mostra presenta libri d’artista e opere a muro, su carta e su tela. Alle  opere di Matteo Montani e agli undici libri d’artista di Alfonso Filieri e Nelio Sonego si affianca la presentazione di altri tredici libri d’artista della collezione Orolontano donati da Alfonso Filieri al Museo.

Le grandi opere in carta di Alfonso Filieri presso il Museo H.C. Andersen, Roma


Hark!,  carta fatta a mano e pigmenti naturali,  2017

La polpa della fibra vegetale essiccata è sottoposta a una imbibitura di pigmenti e a ripetute abrasioni. Sollevando alcuni strati, modellando, forando, grattando, e inducendo un infeltrimento attraverso la compressione delle fibre, crea l’ala di un  d’uccello.

Sbrindellata dai tempestosi venti, l’ala mostra l’articolazione non più intonsa. Le lacune sulla superficie sono presenti anche rigirando la carta. La friabile ala ha una natura che non mente, quasi del tutto priva di spessore. 

Composta da una garza di trame fittamente sovrapposte, squamata, si dissalda e si ricompatta senza soluzione di continuità. Gli oleosi lembi, le vegetali frange, le scaglie morbide si sollevano come branchie al moto dell’aria, planando sulle creste delle ondose pieghe.

La vastità delle superfici è rappresa, raggrinzita. L’infinità ha fori e vacuoli, ma ciò che sta al di sopra non sembra corrispondere al lato sottostante. È un oggetto che mostra solo superfici, sempre privo di volume. La pelle s’accartoccia per darsi una mole, creando ombre nelle lacune, al di sotto delle pieghe.

La mente giocata dalle sembianze sirenee del materiale si lascia abbindolare come un personaggio mitico. Legata al palo da un suo stesso comando, vola e osserva dall’alto lo sferico rimasuglio del mondo.

Si riesce ad affondare lo sguardo nelle pieghe delle intestine metamorfosi. La carta è l’amante di una mente ingorda di apparenze  e di fioche effimere entità.

L’occhio del Ciclope, carta fatta mano su tela e pigmenti naturali, 2017

La materia approfondisce un suo intendimento: acquisire consistenza assorbendo plasma, venature e correnti intestine. La forma tonda pare mettere sotto lente una porzione di tessuto. Il cerchio non è una figura conclusa, perde un fiotto di pigmento che si dissecca, mentre cola. Presto verrà assorbito dalla superficie. Se ne vedono le tracce sulla scabrosa spianata: altre vene oramai disseccate, si possono seguire pur anche col tatto. Eppure, tutto, al contempo, continua a scorrere e caldo è il liquido porpora.

La barca d’oro, carta fatta a mano e pigmenti naturali, 2017

Un continente con pozzi che raggiungono il vuoto proiettando le sfibrate e sfilacciate ombre su un piano diafano che estroflette la luce, tuttavia, trascinando con sé la convessità del planisfero. La rappresentazione è talmente veridica da far apparire l’analogia come la verità stessa del creato!

Se si svolgessero le pieghe della carta, stirandola fino a ottenerne un foglio perfettamente levigato, il continente verde lambirebbe i piedi del fruitore. 

La carta prende la forma della volontà dell’artista, il quale riformula, spianandoli, i volumi del cosmo.

La vegetale sostanza insegue la sprezzatura delle onde, l’iridiscente polverizzarsi in un azzurro vapore: dai prati alle onde senza che sia ravvisabile la mutazione delle sostanze, il loro intrudersi l’una nell’altra. 

L’otre dei venti, carta fatta a mano e pigmenti naturali, 2018

Pur se a brandelli, trovano il modo di ricomporsi, di ricostituire le trame allungandosi come gangli nel vuoto. L’aereo spazio appare arpionato da flebili ramaglie, ghermito e trascinato in un vortice di danzanti tinte, e intinto è il bianco d’ogni sfumata ombra. 

Si può star certi che le strie di carta si stiano allungando, proprio mentre le si osserva, per riconnettere le lacerate orlature, ricomponendo l’originale tessuto.

I penduli ritagli si aggrappano l’un all’altro per ripristinare la continuità della tessitura. I lacerti diversamente tinti non si integrano negli intrecci, ma si sovrappongono, mentre quelli del medesimo colore hanno già ripristinato il tenace amalgama.

Lacune hanno per questo una doppia valenza: circondare il vuoto con gli irraggiamenti di una suadente circonduzione e mostrare che vuoto e pieno non sono percepibili insieme, che uno dei due sempre prevale!

Fa saltare tutte le scale: microcosmo e macrocosmo sono effetti della manipolazione. Si possono sovrapporre continenti a placche già scavate e si può riportare sul fondale ciò che è stato disseppellito. La carta mima le asperità terrestri e i corsi dei fiumi aventi gli affluenti distribuiti al modo delle ramificazioni di una foglia.

Dalle sopite radici, carta fatta mano su tela, pigmenti naturali e carta velo giapponese, 2008

Aggiungendo veline lo spessore si palesa come la più consistente delle rivelazioni. Morbide le pieghe formano l’ossatura del visibile per poi sciogliersi al flesso ondoso della corrente. Aereo o marino che sia, il moto riecheggia, svelando, nelle radici che si allungano, la natura vegetale della fibrosa sostanza. La carta confessa sempre di quale materia è fatta!

Il giardino della ninfa, carta fatta mano su tela, pigmenti naturali e carta velo giapponese, 2014 

Striature ottenute con sovrapposizioni plurime, appoggiando e sollevando come se si stesse scavando. Non appare possibile giungere nel punto da cui la luce sembra scaturire. La profondità non è inversamente proporzionale alla luminosità.

Carta sa celare nelle sue infime rilevanze le strutture fossili della luce, cristallizzatosi nei meandri di una disseccata polpa di cellulosa. Si può battere la carta vieppiù assottigliandola, riducendone l’orgoglio per farle espellere fino all’ultima stilla di luce e di acqua. 



                                                                                            Rosa Pierno




Il giardino della ninfa, 2014

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